Il delitto di uso di atto falso di cui al 489 c.p.- Testamento Olografo. CASSAZIONE, SEZ. V PENALE - SENTENZA 22 settembre 2015, n.38438
CORTE DI
CASSAZIONE, SEZ. V PENALE - SENTENZA 22 settembre 2015, n.38438
MASSIMA
Il delitto di uso di atto falso di cui al 489
c.p. è un reato istantaneo e non permanente, giacché la
consumazione di esso si esaurisce con l'uso, essendo la
protrazione nel tempo dei suoi effetti il risultato dell'azione
cosi come compiuta. Qualora, peraltro, dello stesso documento
falso venga successivamente reiterato l'impiego, la nuova
attività dà luogo ad altro e distinto delitto di uso di atto
falso. Infine, la condotta tipica è integrata dall'uso dell'atto
falso, sorretto dalla consapevolezza, da parte del reo, della
falsità dello stesso e dal dolo specifico di procurare a se’
un vantaggio.
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CASUS DECISUS
La Corte territoriale di Palermo pronunciava
sentenza di non diversi procedere per maturata prescrizione nei
confronti del prevenuto ed in relazione al delitto di uso di atto
falso (testamento olografo) di cui all’art. 489 c.p.,
confermando nel resto le statuizioni civili. Avverso tale
pronuncia proponeva ricorso per Cassazione il difensore eccependo
difetto di motivazione della decisione impugnata riguardo alla
dichiarazione di estinzione, trattandosi di reato permanente per
il quale i termini non sarebbero ancora maturati; vizio di
motivazione attesa l'insufficienza delle argomentazioni relative
agli accertamenti espletati in ordine alla falsità del
testamento; contraddittorietà della motivazione riguardo
all'attendibilità delle dichiarazioni della persona offesa,
R.R.; mancato espletamento di una prova decisiva costituita dalla
perizia sul testamento attesa l'incertezza degli accertamenti
espletati; violazione di legge riguardo alla sussistenza
dell'elemento soggettivo del reato, difettando la prova della
conoscenza della falsità del testamento; omessa pronunzia
riguardo alla richiesta di riduzione della pena applicata in
primo grado; omessa pronunzia da parte della Corte territoriale
sulle censure relative alle statuizioni civili.
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ANNOTAZIONE
di Valentina Spizzirri
La Corte di legittimità dichiara inammissibile il gravame proposto dalla difesa ai sensi dell’art. 616 c.p.p. e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, anche quelle sostenute dalla parte civile, considerato che tutti i motivi eccepiti sono destituiti di fondamento afferendo al merito della vicenda non sottoponibile la vaglio di legittimità. Tuttavia, dalla prima censura – relativa alla natura giuridica del reato - gli ermellini traggono un principio di diritto relativo al delitto di uso di atto falso ex art. 489c.p. di seguito riportato: il delitto di uso di atto falso di cui al 489 c.p. è un reato istantaneo e non permanente, giacche la consumazione di esso si esaurisce con l'uso. Dunque, la protrazione nel tempo degli effetti da questo prodotti è il risultato dell'azione cosi come compiuta. Qualora, peraltro, dello stesso documento falso venga successivamente reiterato l'impiego, la nuova attività da luogo ad altro e distinto delitto di uso di atto falso. Infine, la condotta tipica è integrata dall'uso dell'atto falso, sorretto dalla consapevolezza, da parte del reo, della falsità dello stesso e dal dolo specifico di procurare a se un vantaggio. |
TESTO DELLA SENTENZA
CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. V PENALE - SENTENZA 22 settembre 2015, n.38438 - Pres. Nappi – est. Positano
RITENUTO
IN FATTO
1. Il
difensore di M.V. propone ricorso per cassazione contro la
sentenza pronunciata dalla Corte d'Appello di Palermo, in data 24
giugno 2014, che in parziale riforma della decisione del
Tribunale di Marsala, sezione distaccata di Castelvetrano, in
data 15 febbraio 2013, appellata dall'odierna ricorrente,
dichiarava non doversi procedere nei confronti della stessa con
riferimento al delitto di cui all'art. 489 c.p., come ritenuto in
sentenza, per essere lo stesso estinto per prescrizione,
confermando, nel resto, la sentenza con riferimento alle
statuizioni civili in favore di R.R., R.F. e M.G..
2. La
vicenda processuale aveva preso le mosse dal decesso di S.S.,
avvenuto per cause naturali, il (OMISSIS), componente di una
famiglia facoltosa del palermitano, celibe e privo di eredi
necessari. Dopo l'apertura della successione testamentaria sulla
base del testamento olografo del (OMISSIS), che designava le
odierne parti civili quali eredi universali, pur trattandosi di
soggetti estranei alla cerchia familiare, ma che si erano
occupati dell'assistenza del de cuius, sulla base di un secondo
testamento olografo, datato (OMISSIS), M.V. aveva instaurato
un'azione civile, curando anche la fase cautelare del sequestro
giudiziario nell'ambito della quale i R. avevano proposto, in via
riconvenzionale, querela di falso avverso il testamento
pubblicato il (OMISSIS).
3. In
sede penale imputata è stata giudicata responsabile, con
sentenza del 15 febbraio 2013, del reato di uso di atto falso, ai
sensi dell'art. 489 c.p., modificando l'originaria rubrica del
delitto di cui agli artt. 485 e 491 c.p., sulla base della quale
alla M. era stato inizialmente contestato di avere falsamente
formato il testamento olografo datato (OMISSIS), a firma di S.S.,
apponendo la firma apocrifa di quest'ultimo.
4. La
Corte d'Appello, rilevando che nelle more del giudizio era
maturata la prescrizione del reato, ha emesso la decisione
indicata in premessa, confermando la responsabilità, ai fini
civili, della M. per il reato ex art. 489 c.p..
5.
Avverso tale decisione propone ricorso per cassazione il
difensore di M.V. lamentando:
-
difetto di motivazione della decisione impugnata riguardo alla
dichiarazione di estinzione, trattandosi di reato permanente per
il quale i termini non sarebbero ancora maturati;
-
vizio di motivazione attesa l'insufficienza delle argomentazioni
relative agli accertamenti espletati in ordine alla falsità del
testamento;
-
contraddittorietà della motivazione riguardo all'attendibilità
delle dichiarazioni della persona offesa, R.R.;
-
mancato espletamento di una prova decisiva costituita dalla
perizia sul testamento attesa l'incertezza degli accertamenti
espletati;
-
violazione di legge riguardo alla sussistenza dell'elemento
soggettivo del reato, difettando la prova della conoscenza della
falsità del testamento;
-
omessa pronunzia riguardo alla richiesta di riduzione della pena
applicata in primo grado;
-
omessa pronunzia da parte della Corte territoriale sulle censure
relative alle statuizioni civili.
CONSIDERATO
IN DIRITTO
La
sentenza impugnata non merita censura.
1. Con
il primo motivo la difesa deduce difetto di motivazione della
decisione impugnata riguardo alla dichiarazione di estinzione,
trattandosi di reato permanente per il quale i termini non
sarebbero ancora maturati, in considerazione del fatto che
l'utilizzo del testamento si riferisce ad un giudizio civile non
ancora definito davanti alla Corte Civile di Cassazione.
2. Con
il secondo motivo il difensore lamenta vizio di motivazione
ritenendo non esaurienti le argomentazioni adottate dalla Corte
territoriale riguardo alla decisività degli accertamenti
espletati sulla presunta falsità del testamento. Il difensore
dopo avere riportato otto pagine dei motivi di appello relativi
esclusivamente ad una valutazione in fatto della vicenda rileva
che tali deduzioni rendono 'conto dei vizi dell'impugnata
sentenza e delle ragioni che ne impongono l'annullamento',
ritenendo che le motivazioni non appaiono del tutto esaurienti.
3. Con
il terzo motivo la difesa deduce contraddittorietà della
motivazione riguardo all'attendibilità delle dichiarazioni della
persona offesa R.R., riportando sei pagine di motivi di appello
relativi a valutazioni esclusivamente di merito in ordine alle
dichiarazioni rese dai testi, agli accertamenti in fatto
espletati e alle considerazioni del giudice di primo grado,
concludendo che la Corte territoriale avrebbe fornito una
motivazione contrastante con quanto emergeva dal contenuto dei
motivi di appello.
4. Con
il quarto motivo il difensore lamenta il mancato espletamento di
una prova decisiva costituita dalla perizia sul testamento,
attesa l'incertezza degli accertamenti espletati atteso che il
consulente di parte dell'imputata avrebbe accertato l'autenticità
del testamento muovendo una serie di critiche specifiche alla
consulenza espletata in sede civile.
5. Con
il quinto motivo la difesa deduce violazione di legge riguardo
alla sussistenza dell'elemento soggettivo del reato, difettando
la prova della conoscenza della falsità del testamento oggetto
delle giudizio civile, considerando che il consulente
dell'imputata aveva espresso in due occasioni parere favorevole
in ordine all'autenticità del documento.
6. Con
il sesto motivo il difensore lamenta l'omessa pronunzia riguardo
alla richiesta di riduzione della pena applicata in primo grado
riportando, anche in questo caso, una pagina dei motivi di
appello relativi alla congruità della pena.
7. Con
l'ultimo motivo la difesa deduce l'omessa pronunzia della Corte
territoriale sulle censure relative alle statuizioni civili. In
particolare il difensore, dopo avere riportato per intero i
motivi di appello, deduce, sostanzialmente, l'insussistenza del
danno patrimoniale sofferto dalle parti civili poichè, non
essendo passata in giudicato la sentenza civile, gli stessi non
possono ritenersi eredi e, pertanto, non avrebbero potuto
esercitare i diritti connessi a tale qualità. Per il resto, R.R.
avrebbe, comunque, potuto liberamente adempiere alle proprie
obbligazioni nei confronti dei beneficiari, eventualmente dando
esecuzione ai legati disposti dal de cuius.
8.
Preliminarmente va rilevato che tutti i motivi d'impugnazione,
per come formulati, sono inammissibili poichè il difensore si
limita ad individuare le argomentazioni poste a sostegno del
gravame facendo esclusivo riferimento ai motivi di appello che,
riportati per esteso, riguardano quasi esclusivamente profili di
merito e valutazioni in fatto del tutto precluse alla Corte di
legittimità e generalmente non tengono conto delle analitiche
motivazioni della decisione di secondo grado.
9. Il
primo motivo è manifestamente destituito di fondamento poichè
il delitto di uso di atto falso è un reato istantaneo e non
permanente, giacche la consumazione di esso si esaurisce con
l'uso;la protrazione nel tempo degli effetti da questo prodotti è
il risultato dell'azione cosi come compiuta. Qualora, peraltro,
dello stesso documento falso venga successivamente reiterato
l'impiego, la nuova attività da luogo ad altro e distinto
delitto di uso di atto falso (Sez. 5, n. 288 del 13/02/1967 -
dep. 06/06/1967, CARUSO, Rv.104450).
10. Il
secondo motivo è inammissibile per quanto detto in premessa in
quanto, attraverso il rinvio a ben otto pagine dei motivi di
appello, che contengono esclusivamente valutazioni in fatto sulle
minuziose caratteristiche delle diverse consulenze espletate, i
parametri utilizzati e le considerazioni dei consulenti e periti,
introduce solo profili di fatto che non possono trovare ingresso
in questa sede. Va ribadito, infatti, che il sostrato fattuale
della vicenda in ordine alla quale sono state elevate le
imputazioni oggetto di giudizio, non può essere più posto in
discussione in questa sede di legittimità, giacchè la relativa
ricostruzione risulta del tutto plausibile e logica. In questa
sede, va solo verificata la correttezza giuridica dell'affermata
riconducibilità dei profili fattuali alle ipotesi di reato e
tale verifica ha esito ampiamente positivo, posto che l'impianto
giustificativo espresso dal giudice a quo non è affetto da
errori di sorta.
11. In
ogni caso, come correttamente evidenziato dai giudici di merito,
sia in primo che in secondo grado, le censure sono manifestamente
destituiti di fondamento in quanto l'affermazione della falsità
del testamento in oggetto trova riscontro in un primo
accertamento tecnico calligrafico espletato dai RIS di M., che ha
concluso rilevando l'autografia del testamento datato 31 maggio
2010 e la falsità di quello datato 19 ottobre 2000. Negli stessi
termini milita la consulenza tecnica di ufficio espletata in sede
civile, che ha evidenziato l'apocrifìa del testamento in
oggetto.
Sulla
base di tali valutazioni, sia il Tribunale civile, che la Corte
d'Appello di Palermo, hanno dichiarato la falsità del testamento
e la nullità delle disposizioni in esso contenute.
12.
Peraltro, tali conclusioni non appaiono, come evidenziato dai
giudici di merito, in alcun modo inficiate dalle diverse e
generiche contestazioni esposte nella relazione scritta del
consulente dell'imputata, il quale - come si legge in sentenza -
si è anche sottratto all'esame nel contraddittorio delle parti,
in sede penale, rimanendo assente nel processo, nonostante
diversi rinvii concesso dal Tribunale su istanza proprio della
difesa al fine di consentirgli di comparire in aula.
13.
Decisamente inammissibile è la terza censura, siccome attinente
a questione prettamente di merito, quale, notoriamente è quella
riguardante la valutazione delle risultanze processuali, che si
sottrae al sindacato di legittimità ogni qualvolta, come nel
caso di specie, sia assistita da motivazione congrua e
formalmente corretta.
Ineccepibile,
in particolare, risulta l'apprezzamento delle dichiarazioni di
accusa della persona offesa, prudentemente vagliate nella loro
credibilità ed attendibilità, sulla base dei parametri di
giudizio che, per indiscusso insegnamento di questa Corte di
legittimità, devono presiedere alla relativa valutazione. Vanno
ribadite le considerazioni già espresse con riferimento al
motivo precedente e puntualizzata in premessa dovendosi precisare
che il difensore dopo avere riportato per esteso cinque pagine
dei motivi di appello che riguardano esclusivamente valutazioni
in fatto, in ordine alla presunta insufficienza delle
dichiarazioni della persona offesa a sostenere il giudizio di
colpevolezza della M., si è limitato, in maniera assolutamente
generica, a rilevare che la Corte d'Appello avrebbe fornito una
motivazione contrastante con quanto dedotto nei motivi
d'impugnazione.
14.
Inammissibile è la doglianza relativa al mancato espletamento di
una prova decisiva costituita dalla perizia sul testamento, oltre
che per le considerazioni relative al secondo motivo, atteso il
chiaro esito degli accertamenti espletati in sede civile e
penale, anche perchè la perizia non rientra nella categoria
della 'prova decisiva' ed il relativo provvedimento di diniego
non è sanzionarle ai sensi dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett.
d), in quanto costituisce il risultato di un giudizio di fatto
che, se sorretto da adeguata motivazione, è insindacabile in
cassazione (Sez. 6, n. 43526 del 03/10/2012 - dep. 09/11/2012,
Ritorto e altri, Rv. 253707).
15.
Manifestamente infondata è la dedotta violazione di legge
riguardo alla sussistenza dell'elemento soggettivo del reato
poichè, come ben evidenziato dai giudici, sia di primo che di
secondo grado, con motivazione giuridicamente corretta e aderente
alle risultanze processuali, la condotta tipica è integrata
dall'uso dell'atto falso, sorretto dalla consapevolezza, da parte
dell'imputata, della falsità dello stesso e dal dolo specifico
di procurare a sè un vantaggio. I giudici di merito hanno
evidenziato, con spiegazione immune da vizi logici e giuridici,
la sufficiente consistenza e l'assorbente concludenza delle prove
già acquisite nei confronti dell'imputata enucleando quattro
profili sulla base dei quali ritenere sussistente l'elemento
soggettivo del reato.
16.
Innanzitutto, lo S. non aveva alcun rapporto amicale o di
confidenza con la M., che era una semplice locataria del suo
immobile; in secondo luogo, nei mesi antecedenti la morte del
testatore, come emerso dalla ricostruzione operata dalla parte
civile, quest'ultimo non voleva neppure vederla, avendo avuto con
essa alcuni dissapori; in terzo luogo, l'imputata non ha mai
fornito alcuna spiegazione in merito alle modalità cui ottenne
il possesso del testamento falso e, infine, era l'unica persona
ad avere interesse specifico per tale documento e per il relativo
lascito, per cui, cui prodest, se non ad essa?.
17.
Del tutto inammissibile è la doglianza relativa omessa pronunzia
riguardo alla richiesta di riduzione della pena applicata in
primo grado poichè tali profili sono interamente assorbiti dalla
declaratoria di estinzione per intervenuta prescrizione del
reato.
18.
Infine, manifestamente infondata è l'omessa pronunzia della
Corte territoriale sulle censure relative alle statuizioni civili
poichè, attraverso il richiamo alla decisione di primo grado, la
Corte territoriale ha fatte proprie e condiviso le attente
valutazioni operate dal Tribunale. A riguardo, la stessa
ricorrente nulla deduce riguardo alla sussistenza del danno non
patrimoniale da reato, limitandosi a evidenziare taluni profili
che escluderebbero la sussistenza del danno patrimoniale.
19. Ma
tali ultime doglianze sono manifestamente infondate poichè
parziali, contraddittorie e non pertinenti. Parziali, poichè
esaminano solo la possibilità per R.R. di dare esecuzione al
testamento in favore di beneficiari e legalitari (circostanza
questa irrilevante ai fini della valutazione del pregiudizio che,
comunque, sussisterebbe egualmente), contraddittorie poichè si
sostiene contemporaneamente che lo stesso non era proprietario e,
quindi, non era legittimato ad esercitare i diritti relativi a
tale facoltà, ma nello stesso tempo si deduce che avrebbe potuto
dare esecuzione, nella qualità di erede, alle disposizioni
testamentarie; non pertinenti, poichè i profili non riguardano
l'esistenza del pregiudizio patrimoniale, che risiede
nell'oggettiva preclusione della gestione del compendio
ereditario, soprattutto in considerazione del dato non
contestato, derivante dagli effetti del sequestro giudiziario
disposto dal giudice civile nel dicembre 2001.
20.
Nello stesso senso milita l'impossibilità di riscuotere i
diversi crediti ereditari, la necessità di richiedere una nuova
autorizzazione regionale per aprire un differente impianto di
distribuzione di carburanti, in conseguenza del disposto
sequestro, nonchè l'attuazione di quegli adempimenti che
richiedono la qualità di erede, di fatto paralizzati attraverso
l'utilizzo strumentale del testamento falso in sede civile.
21.
Alla pronuncia d'inammissibilità consegue ex art. 616 cod. proc.
pen., la condanna della ricorrente al pagamento delle spese
processuali, nonchè al versamento, in favore della Cassa delle
ammende, di una somma che, in ragione delle questioni dedotte,
appare equo determinare in Euro 1.000,00. Del pari, la ricorrente
va condannata alla rifusione delle spese sostenute dalla parte
civile nel giudizio di legittimità, che, in relazione
all'attività svolta, vengono liquidate in Euro 1.800, oltre
accessori di legge.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e
condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e
della somma di Euro 1.000 in favore della Cassa delle Ammende e
condanna la ricorrente alla rifusione delle spese sostenute, nel
grado, dalla parte civile che liquida in Euro 1800,00 oltre
accessori come per legge, di cui Euro 1600,00 per onorari.
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