la responsabilità professionale del personale sanitario dell'Ospedale Civile - Tribunale-Chieti-Sent.-8.8.2023-n.-459
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Tribunale di Chieti
Il G.U., dott. Alessandro Chiauzzi
ha pronunciato la seguente
Sentenza
nella causa civile di primo grado iscritta al n. 464 del ruolo contenzioso generale dell'anno 2021, posta in deliberazione all'udienza del 12 aprile 2023, con concessione del termine di 60 giorni per il deposito di comparse conclusionali e dell'ulteriore termine di 20 giorni per il deposito di memorie di replica, vertente
tra
G.M. (C.F. (...) ), rappresentata e difesa dall'avv. M.R., in virtù di delega posta in calce all'atto di citazione,
attrice;
e
AZIENDA S.L.L. (C.F. e P.IVA (...)), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avv. M.F., in virtù di delega posta in calce alla comparsa di costituzione e risposta, giusta delibera di autorizzazione al conferimento dell'incarico n. 487 del 17 maggio 2021,
convenuta;
Oggetto: responsabilità sanitaria; risarcimento del danno.
Con l'atto di citazione G.M. ha chiesto che sia accertata la responsabilità professionale del personale sanitario dell'Ospedale Civile R. di L., che l'hanno avuto in cura nei giorni 6-13 settembre 2017, e che, per l'effetto, la A.L.V. sia condannata al risarcimento di tutti i danni, patrimoniali e non patrimoniali, oltre alla rivalutazione monetaria ed interessi.
A sostegno della domanda ha rappresentato, tra l'altro, che: in data 6 settembre 2017, giunta al termine della gravidanza, fu ricoverata presso l'Ospedale Civile R. per l'espletamento del parto cesareo, programmato dal personale sanitario del reparto di ostetricia e ginecologia dell'Ospedale; prima di eseguire il parto cesareo, fu sottoposta ad anestesia spinale con blocco peri-midollare, nel corso della quale, non appena l'anestesista introdusse l'ago, avvertì forti dolori che andavano dalla schiena sino alla caviglia del piede sinistro; nell'immediato decorso post operatorio, continuò ad avvertire parestesia nell'arto inferiore sinistro, con conseguente impossibilità a deambulare; avendo esposto ai sanitari dell'Ospedale le predette circostanze, questi la sottoposero ad accertamenti ed esami, all'esito dei quali fu riscontrato il piede cadente dell'odierna attrice, con conseguente difficoltà nella deambulazione e nella flessione; rientrata nella propria abitazione in seguito alle dimissioni dall'Ospedale, avvenute in data 13 settembre 2017, continuò ad avvertire dolori all'arto inferiore sinistro, che la costrinsero a rimanere a letto per diverse settimane; non potendo attendere alle sue normali funzioni, fu costretta a ricevere assistenza, anche per la cura del figlio neonato, con ripercussioni negative nella propria vita affettiva e di relazione; ad oggi lamentava disestesia e ipostesia a carico dell'arto inferiore sinistro; le sofferenze fisiche, patite a causa delle lesioni provocate dal trattamento anestesiologico, hanno avuto anche ripercussioni psichiche negative, avendo iniziato a soffrire di insonnia e ad avvertire improvvisi stati d'ansia.
Sulla scorta delle precedenti deduzioni, l'attrice ha proposto la domanda risarcitoria nei termini indicati sopra.
Costituendosi in giudizio, la A.L.V. ha chiesto il rigetto della domanda attrice, sul presupposto che nessun profilo di negligenza o imperizia è da ravvisare nel comportamento del personale sanitario che ha eseguito l'intervento cesareo e che successivamente ha tenuto in cura la M., essendosi questi attenuti ai protocolli sanitari vigenti, come peraltro si evince dalla cartella clinica della M.
Questo Tribunale, dopo aver verificato la procedibilità della domanda, per essere stato esperito il tentativo obbligatorio di mediazione (verbale negativo allegato al fascicolo di parte attrice), ha istruito il giudizio ammettendo la documentazione prodotta dalle parti, con un accertamento tecnico e con la prova testimoniale dei sig.ri R.D., A.Z., G.M., C.A., L.E.S. e R.M.D.C.
Come detto, la vicenda attiene all'accertamento dell'eventuale responsabilità della A. convenuta per profili di negligenza o imperizia del personale sanitario dell'Ospedale Civile R., connessi all'esecuzione dell'intervento cesareo, dai quali deriverebbe il diritto dell'attrice al risarcimento dei danni.
Prima di esaminare il merito della questione, occorre chiarire alcuni aspetti generali in materia di responsabilità della struttura sanitaria.
Come noto, l'ampio dibattito sviluppatosi nel corso degli anni ha portato pacificamente la giurisprudenza prima e il legislatore poi a ritenere che la responsabilità della struttura ospedaliera nei confronti del paziente sia di tipo contrattuale.
Si sono tuttavia registrati nel corso degli anni diversi orientamenti in merito alla ripartizione dell'onere probatorio.
La Cassazione ha precisato a Sezioni Unite che "in tema di responsabilità contrattuale della struttura sanitaria e di responsabilità professionale da contatto sociale del medico, ai fini del riparto dell'onere probatorio l'attore, paziente danneggiato, deve limitarsi a provare l'esistenza del contratto (o il contatto sociale) e l'insorgenza o l'aggravamento della patologia ed allegare l'inadempimento del debitore, astrattamente idoneo a provocare il danno lamentato, rimanendo a carico del debitore dimostrare o che tale inadempimento non vi è stato ovvero che, pur esistendo, esso non è stato eziologicamente rilevante" (nella specie la S.C. ha cassato la sentenza di merito che - in relazione ad una domanda risarcitoria avanzata da un paziente nei confronti di una casa di cura privata per aver contratto l'epatite C asseritamente a causa di trasfusioni con sangue infetto praticate a seguito di un intervento chirurgico - aveva posto a carico del paziente l'onere di provare che al momento del ricovero egli non fosse già affetto da epatite; Cass. civ., SU, n. 577 dell'11.1.2008).
Anche la giurisprudenza successiva, in merito alla ripartizione dell'onere della prova, ha chiarito che "nel giudizio di risarcimento del danno conseguente ad attività medico chirurgica, l'attore danneggiato ha l'onere di provare l'esistenza del contratto (o il contatto sociale) e l'insorgenza (o l'aggravamento) della patologia e di allegare l'inadempimento qualificato del debitore, astrattamente idoneo a provocare il danno lamentato, restando, invece, a carico del medico e/o della struttura sanitaria la dimostrazione che tale inadempimento non si sia verificato, ovvero che esso non sia stato causa del danno. Ne consegue che qualora, all'esito del giudizio, permanga incertezza sull'esistenza del nesso causale fra condotta del medico e danno, questa ricade sul debitore" (Cass. civ., Sez. 3, Sentenza n. 20547 del 30/09/2014).
Successivamente è stato tuttavia specificato che "in tema di responsabilità contrattuale della struttura sanitaria, incombe sul paziente che agisce per il risarcimento del danno l'onere di provare il nesso di causalità tra l'aggravamento della patologia (o l'insorgenza di una nuova malattia) e l'azione o l'omissione dei sanitari, mentre, ove il danneggiato abbia assolto a tale onere, spetta alla struttura dimostrare l'impossibilità della prestazione derivante da causa non imputabile, provando che l'inesatto adempimento è stato determinato da un impedimento imprevedibile ed inevitabile con l'ordinaria diligenza". (In applicazione di tale principio, la S.C. ha confermato la sentenza di merito, che aveva rigettato la domanda di risarcimento del danno proposta dalla vedova di un paziente deceduto, per arresto cardiaco, in seguito ad un intervento chirurgico di asportazione della prostata cui era seguita un'emorragia, sul rilievo che la mancata dimostrazione, da parte dell'attrice, della riconducibilità eziologica dell'arresto cardiaco all'intervento chirurgico e all'emorragia insorta escludeva in radice la configurabilità di un onere probatorio in capo alla struttura) (Cass. Civ., Sez. 3 -, Sentenza n. 18392 del 26/07/2017).
Tale indirizzo è stato confermato dalla giurisprudenza successiva: "In tema di responsabilità contrattuale della struttura sanitaria, incombe sul paziente che agisce per il risarcimento del danno l'onere di provare il nesso di causalità tra l'aggravamento della patologia (o l'insorgenza di una nuova malattia) e l'azione o l'omissione dei sanitari, mentre, ove il danneggiato abbia assolto a tale onere, spetta alla struttura dimostrare l'impossibilità della prestazione derivante da causa non imputabile, provando che l'inesatto adempimento è stato determinato da un impedimento imprevedibile ed inevitabile con l'ordinaria diligenza". (In applicazione di tale principio, la S.C. ha confermato la sentenza di merito, che aveva rigettato la domanda di risarcimento del danno proposta dalla paziente e dai suoi stretti congiunti, in relazione a un ictus cerebrale che aveva colpito la prima a seguito di un esame angiografico, sul rilievo che era mancata la prova, da parte degli attori, della riconducibilità eziologica della patologia insorta alla condotta dei sanitari, ed anzi la CTU espletata aveva evidenziato l'esistenza di diversi fattori, indipendenti dalla suddetta condotta, che avevano verosimilmente favorito l'evento lesivo; Cass. Civ., Sez. 3 -, Ordinanza n. 26700 del 23/10/2018).
In ogni caso, l'accertamento dell'esistenza del nesso causale deve essere compiuto secondo il criterio del "più probabile che non": "In tema di responsabilità civile, il nesso causale è regolato dal principio di cui agli artt. 40 e 41 cod. pen., per il quale un evento è da considerare causato da un altro se il primo non si sarebbe verificato in assenza del secondo, nonché dal criterio della cosiddetta causalità adeguata, sulla base del quale, all'interno della serie causale, occorre dar rilievo solo a quegli eventi che non appaiano - ad una valutazione "ex ante" - del tutto inverosimili, ferma restando, peraltro, la diversità del regime probatorio applicabile, in ragione dei differenti valori sottesi ai due processi: nel senso che, nell'accertamento del nesso causale in materia civile, vige la regola della preponderanza dell'evidenza o del "più probabile che non", mentre nel processo penale vige la regola della prova "oltre il ragionevole dubbio". Ne consegue, con riguardo alla responsabilità professionale del medico, che, essendo quest'ultimo tenuto a espletare l'attività professionale secondo canoni di diligenza e di perizia scientifica, il giudice, accertata l'omissione di tale attività, può ritenere, in assenza di altri fattori alternativi, che tale omissione sia stata causa dell'evento lesivo e che, per converso, la condotta doverosa, se fosse stata tenuta, avrebbe impedito il verificarsi dell'evento stesso" (Cass. civ., Sez. 3, Sentenza n. 16123 del 08/07/2010).
Anche in tempi più recenti, Cass. Civ., Sez. 3 - , Ordinanza n. 21008 del 23/08/2018, ha ribadito che occorre accertare il nesso causale secondo la regola del "più probabile che non": "La prova dell'inadempimento del medico non è sufficiente ad affermarne la responsabilità per la morte del paziente, occorrendo altresì il raggiungimento della prova del nesso causale tra l'evento e la condotta inadempiente, secondo la regola della riferibilità causale dell'evento stesso all'ipotetico responsabile, la quale presuppone una valutazione nei termini del c.d. "più probabile che non"".
Chiarito quanto sopra in linea generale, si può procedere ora all'esame del caso di specie. Dall'esame della documentazione prodotta dalle parti e sottoposta ai consulenti nella procedura di accertamento tecnico e sulla base delle osservazioni di questi ultimi, la vicenda sanitaria può essere ricostruita nei termini che seguono.
In data 6 settembre 2017 la M. è stata ricoverata presso l'Ospedale Civile R. di L. per l'espletamento del parto cesareo e, a tal fine, è stata sottoposta ad anestesia locoregionale. Nell'immediato decorso post-operatorio l'attrice ha manifestato una forte disestesia tattile - dolorifica, con impotenza funzionale dell'arto inferiore sinistro e del cingolo pelvico. Sottoposta ad accertamenti in costanza di ricovero, in data 11 settembre 2017 è stata sottoposta a risonanza magnetica lombo sacrale, la quale ha documentato una focale alterazione del segnale con aspetto rigonfio (in sede centro midollare paramediana sinistra, a livello D12), possibile espressione di una lesione vascolare.
I risultati dell'esame obiettivo neurologico eseguito dai cc.tt.uu. sulla M. ha evidenziato la persistenza di una emisindrome sensitivo-motoria sinistra (moderato slivellamento al M. a sinistra, sfumato slivellamento dell'arto superiore alla prova delle braccia tese, B. a sinistra), che secondo i cc.tt.uu. è ascrivibile alla sindrome dell'arteria spinale anteriore.
I cc.tt.uu. hanno chiarito che le cause della sindrome spinale anteriore sono molteplici e possono consistere sia in fattori interni che esterni (trauma, aneurisma dissecante dell'aorta, aortografia, poliarterite nodosa, crisi ipotensive e vasospasmo). Tra i fattori esterni, i cc.tt.uu. hanno evidenziato che la sindrome spinale anteriore può essere causata anche da lesioni vascolari midollari dovute a complicanze post-anestesia locoregionale. Nel giungere a tale conclusione, i cc.tt.uu. hanno preso in considerazione anche la letteratura scientifica citata nel loro elaborato.
Pertanto, i cc.tt.uu., dopo aver accertato la sussistenza di "una menomazione dell'integrità fisica della Signora M.G. verificatasi, in evidente relazione temporale di causa e con inequivocabile correlato anatomo-clinico, in seguito ad anestesia locoregionale, in una paziente con assenza di dimostrati fattori predisponenti", hanno concluso che "si ritiene quindi che nella sig.ra M.G. sussista danno biologico conseguente a complicanza della procedura anestesiologica in oggetto (anestesia loco regionale per parto cesareo, ricovero 6 settembre 2017) quantificabile nella misura del 10% (... ) Si ritiene inoltre che ne sia conseguito in termini di maggior danno un periodo di ITT di giorni 15, di ITP al 75% di giorni 20 ed infine di ITP al 50% di giorni 40".
Le osservazioni svolte dai cc.tt.uu. appaiono dotate di intrinseca logicità, sono in ogni caso supportate da riferimenti alla letteratura scientifica e non sono state contestate dai consulenti di parte.
Sulla base di quanto osservato deve concludersi, pertanto, per la responsabilità dei sanitari della A. convenuta, la quale deve essere condannata a risarcire i danni patiti dall'attrice G.M.
Tanto osservato in ordine all'an e passando all'esame del quantum, i cc.tt.uu. hanno quantificato un periodo di invalidità temporanea per giorni 75, di cui 15 totale, 20 al 75% e 40 al 50%. Quanto al danno biologico da invalidità permanente, gli ausiliari del giudice hanno ritenuto di dover riconoscere tale danno nella misura complessiva del 10%.
In merito alla quantificazione dei danni, deve ritenersi - concordemente a quanto chiarito dalla giurisprudenza della Cassazione (tra le altre, Cass. sent. 28990/2019) - che, essendo stato accertato un grado di postumo permanente superiore al 9%, sia inapplicabile l'art. 3 comma 3 L. n. 189 del 2012, il quale prescrive che il danno biologico e non patrimoniale conseguente all'attività dell'esercente la professione sanitaria debba essere risarcito sulla base delle tabelle di cui all'art. 138 e 139 D.Lgs. n. 209 del 2005, nella loro versione aggiornata all'incremento dell'indice Istat e alla luce dell'aggiornamento degli importi per la liquidazione del danno biologico ad opera del D.M. 22 luglio 2019.
Ciò premesso, il danno biologico occorso va risarcito facendo riferimento ai criteri stabiliti dalle Tabelle del Tribunale di Milano, criterio che è stato ritenuto adeguato criterio di valutazione del danno dalla stessa Corte di Cassazione (tra le tante, si veda Cass., 3 maggio 2018, n. 10511).
Ciò posto, a titolo di danno biologico a carattere permanente, pari al 10%, tenuto conto dell'età della M. al momento dell'intervento e della percentuale di compromissione accertata e dei parametri sopra richiamati, va riconosciuto l'importo di Euro 23.365,00.
Quanto al profilo della inabilità temporanea, va riconosciuto un complessivo risarcimento pari ad Euro 4.950,00 (15 giorni di invalidità temporanea totale: Euro 1.485,00; 20 giorni di invalidità temporanea al 75%: Euro 1.485,00; 40 giorni di invalidità temporanea al 50%: Euro 1.980,00).
Ora va osservato che l'attrice nell'atto di citazione ha chiesto espressamente che in ogni caso l'entità del risarcimento del danno sia limitata ad Euro 26.000,00. Ne consegue che il risarcimento, che deve essere riconosciuto in favore dell'attrice, deve essere quantificato proprio nella predetta cifra.
Vanno riconosciuti anche gli interessi sul predetto credito, con decorrenza dalla data del fatto.
Infatti, sulla somma liquidata a titolo di risarcimento del danno deve essere riconosciuto anche il cd. lucro cessante e cioè il risarcimento del danno derivante dalla mancata tempestiva disponibilità della somma che, ove tempestivamente posseduta, avrebbe determinato un lucro finanziario.
In conformità al combinato disposto degli artt. 2056, 1223, 1226 e 1227 c.c., il danno da ritardo in materia di responsabilità da fatto illecito non è presunto ex lege (non essendo applicabile, come precisato dalla Suprema Corte nella citata sentenza, l'art. 1224 I comma c.c.), ma deve essere allegato e provato facendo ricorso anche e soltanto a presunzioni semplici ed al criterio equitativo di cui all'art. 2056 II comma c.c.
Quindi, non avendo fornito l'attrice alcun elemento di prova in ordine ai possibili impieghi delle somme dovute, il cd. lucro cessante dovrà pertanto essere equitativamente calcolato ex art. 2056 c.c., secondo l'orientamento della Suprema Corte (Cass. Sez. Un. 17.2.1995 n.1712 sul calcolo di interessi per debiti di valore), applicando, ad una base di calcolo costituita dall'attuale credito come sopra determinato, devalutato all'epoca del fatto (settembre 2017), e rivalutato anno per anno secondo gli indici Istat, un saggio di interesse corrispondente al rendimento medio degli interessi sui titoli di Stato (Bot, CCT) nel periodo di riferimento.
Sul complessivo ammontare del credito risarcitorio, così come determinato, decorrono interessi in misura legale dalla pubblicazione della sentenza al saldo.
Le spese della presente procedura, liquidate secondo i valori medi dello scaglione tariffario di riferimento, seguono il criterio della soccombenza.
P.Q.M.
definitivamente pronunciando, ogni diversa domanda, eccezione e deduzione disattesa:
- condanna la A.L.A., nella persona del legale rappresentante pro tempore, al risarcimento dei danni subiti da G.M., e pertanto la condanna al pagamento, in favore di G.M., della complessiva somma di Euro 26.000,00, oltre interessi corrispondenti al rendimento medio degli interessi sui titoli di Stato (Bot, CCT) nel periodo di riferimento, calcolati su detta somma devalutata all'epoca del fatto (settembre 2017) e rivalutata anno per anno secondo gli indici Istat, nonché interessi in misura legale dalla pubblicazione della sentenza;
- condanna la convenuta A.L.A. alla refusione delle spese legali, in favore di parte attrice, che si quantificano in complessivi Euro 5.077,00 per compensi, oltre rimborso forfettario al 15%, IVA e CPA come per legge;
- pone definitivamente a carico della parte convenuta le spese della c.t.u.
Così deciso in Chieti, il 31 luglio 2023.
Depositata in Cancelleria il 8 agosto 2023.
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